Sull'onda del controverso percorso abrogativo dell'abuso d'ufficio (l. 9 agosto 2024, n. 114), giustificato col bisogno di superamento radicale della «paura della firma» e della «burocrazia difensiva» quali fattori di paralisi dell'agire amministrativo, e di due precedenti pronunce della Corte costituzionale - l'una (n. 8/2022) sulla riscrittura delimitativa, operata nel 2020, del medesimo art. 323 c.p., e l'altra (n. 150/2021) sulla tutela del free speech dalla possibile autocensura indotta da previsioni di pena detentiva indefettibile (c.d. carcere per i giornalisti) - sta riscuotendo crescente attenzione il dibattito su un peculiare limite che i fondamenti liberali del diritto penale pongono alla politica criminale, richiedendo che le norme penali, quando vietano condotte limitrofe all'esercizio di diritti fondamentali, siano scritte e applicate in modo da evitare che, al fianco delle condotte tipiche, siano concretamente scoraggiate anche quelle atipiche in cui si sostanzia l'esercizio del diritto fondamentale.