Lucien Lévy-Bruhl (1857-1939), per trent'anni storico della filosofia moderna alla Sorbona e poi infaticabile uomo d'azione nel difendere l'esigenza morale dell'intelligenza dell'altro (all'epoca, il «primitivo») e l'attenzione ad un modo del pensiero, o «mentalità», al contempo concettuale ed affettiva, ha attraversato con perfetta lucidità non pochi ambiti delle scienze umane a cavallo fra Otto e Novecento (antichità classica, storia della filosofia, sociologia, antropologia, politica), imprimendo in ciascuno di essi il segno indelebile di un pensiero singolare ed inconfondibile, e non meno offrendo idee vivissime per l'estensione anche in ambiti ulteriori - tra i quali il giuridico - di prospettive di ricerca filosofica centrate sull'esperienza della «partecipazione». Oltre ad offrire il ritratto intellettuale del percorso molteplice di un filosofo impegnato nell'«aggiungere qualcosa alla conoscenza scientifica della natura umana utilizzando i dati dell'etnologia», in dialogo con Spinoza e Hume; nonché a sottolineare in maniera specifica ed inedita la riflessione sui temi del diritto e della giustizia nell'intera sua opera; il volume ricostruisce, anche, alcuni profili del rapporto che con Lévy-Bruhl hanno intessuto in forma diretta o mediata le culture giuridiche francese ed italiana nella seconda metà del Novecento, attraverso personalità di indubbia centralità ed animate da grande sensibilità antropologico-filosofica come Villey, Carbonnier, Capograssi, Grossi, Costa, Sacco.